LA Scuola di Caltanissetta

QUALE SCRITTURA VISIVA OGGI

Chiedersi quale territorio di indagine possa costituire la “scrittura” nel tempo presente, è necessario per scrutare quegli orizzonti essenziali all’interno dei quali potere formulare o cogliere quelle soluzioni formali o concettuali che possano darle un senso attuale. Così, mentre le esperienze artistiche storiche costituiscono una memoria i cui segni sono stati propositivi nella fenomenologia del tempo che le ha prodotte, va considerato anche come la tecnologia e il linguaggio abbiano percorso svolte e dato contributi inattesi nel campo delle possibilità espressive e dei modi del comunicare.

Mentre da una parte assistiamo sempre più all’esercizio di una parola sempre più “assoluta” (ab-solutus: sciolto da…), espressa attraverso forme sempre più sofisticate di metafore, di enfasi ed iperbole, sempre più spersonalizzate, sempre più distanti dai dati della realtà, per raggiungere i livelli e le culture degli strati sociali che possono modellarle secondo le loro “attese” e possono a loro volta essere modellati per creare “attese” necessarie e desideri, dall’altra i sempre più raffinati linguaggi dei media continuano ad usare i meccanismi dell’arte per un gioco perverso che li sacrifica alla “funzione”.

E’ innegabile come certe pagine o certi spot pubblicitari possono leggersi all’interno di una indubbia ricerca artistica, tuttavia effimera e provvisoria. Forma d’arte destinata ad essere consumata e dimenticata, finalizzata alla seduzione per una omologazione dei desideri.

La “scrittura” in questo labirinto di parole che invade il nostro quotidiano, diviene probabilmente sempre più immagine, forse sempre meno “parola”, sempre meno “respiro” che nasce dentro e si fa espressione. Siamo sempre più raggiunti dalle parole, siamo continuamente prodotti da parole, diveniamo sempre meno produttori di parole. Diveniamo sempre meno lettori di noi stessi per offrirci ad una continua lettura che ci ri-conosce e ci ri-modella. I sistemi di informazione articolano il nostro modo di porci nel mondo dei fatti e delle cose fino a farci produrre forme di espressione preordinate, noi stessi alfabeti di un sistema che continuamente ri-disegna e gestisce il nostro “parlare”.

E “scrivere”.

Quali direzioni può prendere allora la parola per trovare vie di liberazione e di riscatto?

In quale alveo dovrà collocarsi per abbracciare diverse soluzioni del dire o per essere abbracciata da quei gesti che possano farla divenire nuovamente produttrice di senso?

Quel senso, naturalmente, che appartiene all’arte e alla poesia, in uno spazio che sappia produrre anche silenzio, senza dimensione e senza suono.

Quel senso anche capace di proporsi lettera di un quotidiano la cui realtà diviene sempre meno percepibile, sempre meno luogo da esperire per una “realtà” virtuale dagli orizzonti più vasti e seducenti.

Io ritengo che la “scrittura” debba riappropriarsi della realtà.

Occorre ridisegnare nella realtà il nostro mondo dei fatti e delle cose e credo che nei termini di un rinato rapporto con le “cose”, possano nascere quei presupposti per proporre  una “altra scrittura visiva” capace di interpretare le istanze di un tempo che sempre più ci sfugge,  all’interno del quale “scrivere” quei punti fermi necessari per tornare a “sillabare”, a formulare lo spelling del nostro esserci e del nostro trovarci.

Ritengo sia necessaria un’opportuna presa di distanza dalla miriade dei fatti dai quali il nostro quotidiano è bersagliato e sopraffatto, producendo una scrittura di “riflessione”, una scrittura che attraverso la materia – materiali anche – ripresi dal quotidiano anche, crei per un momento una barriera, una sorta di iconostasi: una scrittura metafisica che lasci scaturire i propri segni dal di dentro.

Collocata la “Poesia Visiva” nel suo momento storico, all’interno della ricca e complessa fenomenologia delle forme dell’arte degli anni sessanta, io penso che una nuova formulazione di ideologia dell’uomo possa, in qualche modo, essere il punto di partenza e il fine anche, di uno scrivere come quello, è il caso, che esercita i suoi modi nell’esperienza verbo-visiva.

Oltre la centralità e l’organicità della cultura del moderno, in un postmoderno che avanza attraverso una proposizione continua di “culture” che esprimono i linguaggi delle “periferie”, giungono espressioni della poesia e dell’arte negata dalla ex “cultura ufficiale” che percorrono vie di comunicazione che sfuggono ad ogni catalogazione possibile.

Probabilmente la difficoltà di comparsa di nuove presenze nel mondo verbo-visivo, è dovuto al fatto che la “scrittura” non ha avuto mai una stagione di primo piano, ma è vissuta quasi in maniera “under” rispetto alle altre forme dell’arte del suo tempo, asservita spesso a una certa “concettualità” della quale si sono serviti spesso i Poeti Visivi. La scrittura visiva infatti ha sempre occupato un territorio di confine – tra arte e letteratura, anche – rispetto alle espressioni dell’arte che hanno “caratterizzato” un tempo e una storia. Questa sua posizione è risultata però una dimensione privilegiata nel senso che le ha permesso di registrare i passaggi dell’arte e nello stesso tempo di resistere alle ondate delle mode che, lambendola a volte, le hanno consentito di radicare saldamente nel terreno della cultura e di rimanere ancora oggi propositiva ed attuale.

Quasi tutti i Poeti Visivi provengono dalla letteratura e dalla poesia lineare. Per dare un taglio alla storia e proporre una “Nuova Nuova Scrittura” è necessario ricercare una diversa iconicità dello scrivere che può provenire dal terreno dei nuovi “materiali” che il tempo ci porge, (non parlerei più di pittura), ma anche dalla considerazione di quanto le nuove tecnologie della comunicazione o gli stessi media possono offrire poeticamente alle intenzioni di una attuale proposizione dello scrivere verbo-visivo. Una scrittura visiva attuale deve porsi come “presenza” e punto fermo di riferimento in una realtà che rinnova ed amplia incessantemente le forme dell’espressione.

E’ indispensabile pertanto la ricerca di una technè e di una poiesis che si appropri (può sembrare un paradosso) del linguaggio del tempo presente per restituire l’opera d’arte ad una storia che la “velocità” sembra negarle e che ha bisogno di essere protagonista di nuove “intenzioni”.

Quando parlo di “materia”, veicolo di viaggi interiori che scavano transiti nel quotidiano, mi riferisco a una ricerca, che è quasi una scuola, che conduco con gli artisti che mi sono vicini, Calogero Barba, Giuseppina Riggi, Michele Lambo, Salvatore Salamone, Agostino Tulumello, Lillo Giuliana coi quali cerco di individuare una “Scrittura Mediterranea” nella quale il rapporto tra l’artista e il poeta, tra l’artista e lo scrittore è azzerato per cercare di situarsi nella zona di confine nella quale vive l’inganno, la finzione della realtà sospesa tra luce e ombra, tra mito e storia, tra forte senso del presente e memoria, tra  adesione alle istanze di un tempo che incalza con le nuove tecnologie e un forte senso dell’origine.

I forti caratteri materici che caratterizzano spesso l’oggettualità della loro scrittura, la pressante presenza del colore, il situarsi “plastico” del segno-parola determinano quella perdita di senso che basta a precipitarla in una zona nella quale non è più scrittura, ma rappresentazione di un oltre della parola dai forti accenti evocativi. Evocativi di quanto, tra enunciato ed enunciazione, diviene oggetto di una perdita – nel parlare e nello scrivere – che rimane inespressa, ma anche della  scomparsa necessaria di quella sostanza del dire che nessun potere mediale riuscirebbe a cogliere e all’interno della quale forse, è possibile trovare i segni inespressi di una “parola nuova”.

FRANCO SPENA

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